sabato 31 agosto 2019

Popolo e gente



Seguendo il suggerimento di Paola Villani [1], fine studiosa del linguaggio ed esperta di usi parlamentari, mettiamo sotto osservazione popolo e gente, due parole che nel Nuovo De Mauro, nella marca d'uso del vocabolario fondamentale,  sono presentate così:
popolo: l'insieme degli individui che si considerano o sono considerati appartenenti a una stessa collettività spec. etnicamente omogenea, in quanto abitano un territorio geograficamente o politicamente definito o hanno in comune lingua, cultura, tradizioni, ecc. [...].
gente: 1. gli esseri umani nella loro totalità, il genere umano; le persone in generale, gli altri [...] | numero indeterminato di persone [...] 2. insieme di persone contraddistinte da una caratteristica comune [...].
Il Vocabolario della Crusca, 4a edizione (1729-1738), popolo sta per "moltitudine di persone" (vol. 3, pag. 660) e gente sta per "moltitudine d'uomini, nazione, popolo" (vol. 2, pag. 586) [2].
L'estensione della definizione alla nazione ci porta ad allargare lo sguardo verso altre parole che condividono lo stesso campo semantico: paese e patria. Tutte queste forme indicano l'appartenenza a un Noi,  dall'identità collettiva forte della forma patria fino alla più generica gente, entrata di recente nel linguaggio politico e connotata, almeno all'inizio, da qualcosa di positivo, che si contrappone al palazzo [3].

Nel dettaglio questo è il lessico che nel corpus LP4 fa riferimento al campo semantico delimitato da popolo e gente:


Il popolo come soggetto della vita politica non è sempre stato inteso come un tutto unitario. Oggi ci appare così in seguito ai grandi processi di affermazione dei diritti di cittadinanza nelle democrazie moderne e alla luce della contrapposizione storica tra élites e masse popolari.
Il popolo, insieme al Senato, aristocrazia dei nobili, è il secondo pilastro dello Stato romano. Di volta in volta, il popolo rappresenta solo una parte della società romana: i contadini e gli artigiani che si sono progressivamente integrati dopo la fine della monarchia, i cittadini chiamati al voto nei comitia oppure "l'insieme degli uomini in armi", così come sono indicati con il termine poplo, nella traslitterazione latina, anche nelle tavole eugubine [4], risalenti al III-II sec. a.C.
Il popolo diventa espressione di unità solo nell'età moderna, prima con la rivoluzione inglese del 1688-89, in cui il popolo con i suoi rappresentanti in parlamento affianca l'operato del re, e poi con la rivoluzione francese, in cui si pone come fondamento unico dell'unità politica nazionale aprendo la via alla formazione degli stati-nazione dell'Ottocento [5], com'è attestato anche dal primo significato di popolo registrato da Niccolò Tommaseo [6]:
≪Nazione, Moltitudine di uomini nati in un medesimo paese, o viventi sotto le medesime leggi≫.
Tuttavia lo stesso Tommaseo non esita, dopo aver elencato tutte le diverse sfumature di significato, ad affermare che:
≪Gli usi varii e indeterminati di questo vocabolo dimostrano quel che ha d'incerto e di confuso, e quel che ha di provvidamente promiscuo, la storia delle umane famiglie. I signif. del gr. Genos, Laos, Demos, Plethos, Ethnos, appaiono più nettamente distinti; e anche ciò prova come la storia gr. nella varietà sua porti meno diversità che la storia italiana, dico e dell'Italia antichissima e della impastata dal dominio di Roma. Ai Lat. Gens, Natio, populus avevano altri sensi che i greci a qualche modo corrispondenti; e più ancora li hanno nella ling. it. de' varii secoli i suoni stessi. Molta storia arcana rinchiudesi nella denominazione, per istinto e quasi per fatto usit., di Popoli italiani. Non fu detto Genti, perchè razze diverse. Fino a' dì nostri non fu detto Nazione, né in senso genealog. (come dicevasi la nazione fiorentina, la senese), né in senso polit., perché I popoli d'Italia non formavano nazione italiana≫.
Popolo e nazione trovano una sintesi nell'atto di unione del 1707 tra Inghilterra e Scozia in cui prende vita il Regno Unito di Gran Bretagna. Da questo momento in poi, per tutto il Settecento, l'idea di nazione come unità culturale, letteraria e linguistica assume una dimensione politica concretizzandosi in una appartenenza territoriale. Ad essa si contrappone il cosmopolitismo dei "cittadini del mondo", guardati con sospetto e aperta ostilità,  intellettuali senza patria, che non prendono dimora in nessun paese. Così li vede J.J. Rousseau e lo stesso Giuseppe Mazzini: "colui che non ha una patria non è un buon cittadino" [7].

Nel contesto di questi concetti politici complessi, quando la Costituzione italiana si riferisce al popolo utilizza parole precise e inequivocabili:
≪L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione (art. 1)≫.
Questa precisazione è necessaria per i Costituenti perché già nel corso dell'Ottocento quel popolo che si presentava come unità della nazione e fonte della legittimità politica aveva assunto presto una connotazione ideologica divisiva, utilizzato nella lotta politica in contrapposizione con i ricchi, i capitalisti, le élites. Da qui ha origine quella contrapposizione di interessi tra partiti e popolo che oggi va sotto la denominazione di "populismo". La Costituzione indica la via maestra per risolvere questa falsa contrapposizione affidando alle istituzioni repubblicane l'esercizio della sovranità. Tenendo conto delle dovute differenze, questo è il solco già tracciato a suo tempo dal diritto romano che riconosceva al popolo la potestas e affidava al Senato l'auctoritas.

Popolo è dunque una parola difficile da utilizzare. Insieme ad altre parole dotate di alta densità semantica e quindi ambigue (libertàdemocraziagiustizia), il popolo è una delle prede preferite dei "ladri di parole":
≪Cambiare i significati - o, più semplicemente, confonderli e cancellarli - è la premessa per l'impossessamento abusivo delle parole chiave del lessico politico e civile. Esse vengono distorte, piegate, snaturate, e infine scagliate con violenza contro gli avversari [8].≫
Alcide De Gasperi, Pietro Nenni e Palmiro Togliatti sovra-utilizzano in modo significativo (test della ipergeometrica, p<0,001) la parola popolo nel contesto della ricostruzione post-bellica e dei rapporti internazionali più pressanti. Non vi sono ambiguità nella sua utilizzazione e il significato è largamente condiviso.
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Alcide De Gasperi:
I 522 non c'è patria senza giustizia verso il popolo che lavora;
I 1074 per affrontare il verdetto del popolo, non come strumento di tirannia.
I 1074 quando si fanno le elezioni è al popolo che ci si rivolge.

Pietro Nenni:
I 147 consapevoli menzogne di fronte a tutto il popolo.
I 349 per costruire case, scuole ed ospedali per il popolo, in tutte le province.
II 6 un elemento di demoralizzazione e di sfiducia del popolo nella democrazia.

Palmiro Togliatti:
I 145 bisogna però prima di tutto dire chiaramente al popolo le cose come stanno,
III 11 alle forze di avanguardia del popolo lavoratore
IV 78 la sovranità appartiene al popolo e per esso al Parlamento.

Tra i leader della Seconda Repubblica, la parola popolo è sovra-utilizzata da Berlusconi, Bertinotti, Bossi e Fini con intenti spesso polemici oppure con riferimenti che nulla hanno a che fare con l'idea di popolo, il popolo dei consumatori. Il popolo inteso come principio di rinnovamento e di autenticità del rapporto politico anticipa le future involuzioni populistiche.
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Silvio Berlusconi:
XIII 135 riconoscere la verità del rinnovamento voluto dal popolo.
XIII 135 noi vogliamo che il popolo diriga lo Stato, non che lo Stato diriga il popolo.
XVI 4 alle giovani famiglie, al popolo dei consumatori e dei risparmiatori,
XVI 375 critiche aprioristiche al Governo e a chi ha avuto dal popolo il mandato a guidarlo.

Umberto Bossi:
XI 171 la sua immagine autentica di popolo fatto di cittadini onesti,
XII 102 il popolo, l'unica vera fonte di rinnovamento,
XIII 253 cioè senza il popolo, ma con una decisione di palazzo,
XIII 714 verrete semplicemente cancellati del disprezzo del popolo

Gianfranco Fini:
X 667 il Parlamento non può impedire per principio al sovrano reale, al popolo, di pronunciarsi
X 667 i parlamentari rappresentano il popolo e non i partiti
XII 7 un popolo che non ha memoria storica non è più una nazione

La maggior parte delle espressioni multiparola, come i sintagmi nominali popolo+aggettivo, non sono sufficientemente rilevanti per essere lessicalizzati e conteggiati come unità polirematiche. Fanno eccezione tre sintagmi: popolo italiano, popolo palestinese e popolo sovrano.
Popolo italiano (777 occorrenze) è sovra-utilizzato da Almirante, Bossi, De Gasperi, Moro e Togliatti; popolo israeliano (69) è sovra-utilizzato da Andreotti, Craxi e Fini; mentre popolo sovrano (38) è sovra-utilizzato in modo significativo solo a Almirante.

La gente - parola che non ha inizialmente valenza politica - si fa strada nel linguaggio politico agli inizi degli anni Novanta, come termine pre-politico, alla ricerca di una forma di autenticità, di una sostanza di verità che per alcuni non aveva espressione e rappresentanza in quel mondo della politica che era uscito distrutto da Tangentopoli. I politici vicini al sentire comune della gente parlano il gentese. Così si esprime il Corriere della sera parlando di Silvio Berlusconi "il primo presidente del Consiglio che ha abbandonato il 'politichese' per parlare il 'gentese', una lingua chiara e semplice in grado di entrare immediatamente in contatto con la gente" (19 maggio 1994).

Nel corpus LP4 la parola gente è sovra-utilizzata da Almirante, Bertinotti, Bonino, Bossi, Casini, De Mita e Pannella, ma non si delinea con chiarezza e precisione un suo uso "sostitutivo" rispetto alla parola popolo. Sicuramente il termine è caratteristico della fase storica più recente ed emerge, almeno in parte, il tema del "distacco" dalla politica.
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Giorgio Almirante:
I 729 questo significa voler turlupinare la gente.
I 925 e la gente dice: costoro barano al gioco.
I 925 la gente viene ad assistere ai nostri comizi

Fausto Bertinotti:
XII 268 la politica si sta troppo distaccando dalla vita della gente e dalla semplicità.
XII 310 il palazzo ignora il paese reale, i suoi problemi e la gente, molta gente, perde interesse per la politica.
XIV il programma è una bandiera issata sulla testa della gente,

Emma Bonino:
VII 27 identificazione dei bisogni della gente, dei bisogni dei pensionati, dei vecchi, delle donne
VII 162 da quello che vivo con le compagne in mezzo alla gente,
VII 264 sarà la gente a dire se l'aborto è un reato o no.

Umberto Bossi:
XI 171 potrebbe servire moltissimo a tanta gente che qui parla senza capire bene le cose.
XII 126 evidentemente, in questo parlamento c'è gente che non conosce bene l'italiano,
XIII 714 quando la gente tirava le monetine e insultava per strada gli amici

Pier Ferdinando Casini:
XII 102 non ha niente a che fare con un rapporto con la gente e con la politica.
XII 270 pasticciata e confusa, ancor più incomprensibile per la gente.
XIII 253 per dare la parola alla gente, affinché possa esprimersi
XV 120 ritengo che non ci si possa lamentare se la gente è sempre più distante dalla politica.

Ciriaco De Mita:
IX 630 prioritario ed essenziale il dare voce ai problemi della gente, con azione continua
IX 630 la domanda di partecipazione che c'è tra la gente
X 116 la sfida per recuperare alla politica il consenso della gente.

Marco Pannella:
VIII 210 noi non siamo mai stati quella gente da operetta che credevate noi fossimo
IX 38 avendo paura che nella sua laicità la gente giudichi, ecco a che punto stiamo arrivando!
IX 47 follia del potere, dei governi, in cui la gente non deve sapere,
IX 349 che deve rispondere dinanzi alla gente in occasione delle elezioni,

Paese, molto meno impegnativo rispetto a popolo,  è di gran lunga il termine più utilizzato, gradito in particolare da Massimo D'Alema e Romano Prodi, secondo Giuseppe Antonelli [9]. Questa preferenza è confermata nel corpus LP4 in cui paese è sovra-utilizzato in modo significativo da quasi tutti i leader della sinistra e del centro sinistra (Berlinguer, Bersani, Bertinotti, Bindi, D'Alema, Nenni, Occhetto, Prodi, Saragat, Togliatti e Veltroni) ma anche da Berlusconi, Bossi, Casini e La Malfa, connotandosi così come termine neutrale [9].

Nazione e patria sono sovra-utilizzati dai leader degli anni Cinquanta e Sessanta, come Almirante, De Gasperi, La Malfa, Nenni, Saragat e Togliatti.

Una sintesi di queste osservazioni è rappresentata nella figura 1 in cui si riporta il risultato di una analisi statistica multidimensionale [10] basata sulla studio della correlazione fra parole e testi (i discorsi dei leader). La mappa può essere interpretata tenendo conto della vicinanza tra i punti (le parole e i leader). Quanto più i punti sono vicini sul piano tanto più le entità che essi rappresentano si possono considerare correlate tra loro. L'analisi è stata effettuata su tutte le parole del vocabolario con occorrenza almeno di 10 (circa 21.000 punti), ma in questo caso, per facilitare la lettura, sono evidenziate soltanto le parole e i sintagmi che si riferiscono al campo semantico in esame.

Fig. 1 - Mappa delle parole significative del campo semantico popolo-gente corrispondenti ai leader.


Sull'asse orizzontale delle ascisse i leader si dispongono secondo la modalità retorica che più li caratterizza: un deciso tono polemico da parte di Almirante, Pannella, Di Pietro e Bonino; un lessico più moderato e istituzionale da parte di Cossiga, Spadolini, Moro, Prodi. Non deve stupire in questo ambito la presenza di Berlusconi che nei discorsi in aula utilizza un lessico formale molto meno incisivo rispetto a quello propagandistico al quale deve buona parte della sua notorietà, almeno inizialmente [11].

Sull'asse verticale delle ordinate la disposizione segue a grandi linee un andamento storico-cronologico: sul semiasse superiore Togliatti, Nenni, Saragat e De Gasperi, attivi soprattutto nelle prime tre legislature, al centro Moro, Berlinguer, Andreotti, Craxi e Cossiga, i leader delle legislature del centro-sinistra e successivamente del pentapartito; in basso tutti i leader della Seconda Repubblica.

Si osserva una decisa caratterizzazione delle forme popolo, patria e nazione in connessione con i leader della ricostruzione, mentre la forma gente è correlata con l'area polemico-critica dei tempi più recenti. Paese si conferma come parola di "centro", come riferimento collettivo a un Noi inclusivo di tutte le forze politiche e sociali, salvo il sintagma popolo sovrano invocato sempre con l'intento di sottolineare la distanza crescente tra il popolo e le istituzioni politiche. La prossimità con l'opposizione paese legale e paese reale, che indica il contrasto esistente tra i ceti popolari e chi detiene il potere, completa ulteriormente questo quadro. Da sottolineare che l'uso di queste espressioni è specifico per entrambe solo nei discorsi di Giorgio Almirante.

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[1] P. Villani, Il parlato delle delle assemblee parlamentari: il lessico, in Atti del Convegno internazionale sulla Comunicazione Parlata GSCP, Liguori: Napoli, 2006, v. 1, pp. 464-480; M. E. Piemontese e P. Villani, Lessico, leggibilità e comprensibilità del linguaggio politico-parlamentare, ≪Bollettino di Italianistica≫, 2007, 4, pp. 249-269; P. Villani, Usi, regole, resoconti,  in L. Giuliano e P. Villani, Il linguaggio della leadership politica rea la Prima e la Seconda Repubblica. Problemi di metodo e linee di ricerca, Camera dei deputati: Roma, 2015, pp. 33-43.

[2] Accademia della Crusca: http://www.lessicografia.it.

[3] M. A. Cortelazzo, Il linguaggio della politica, Accademia della Crusca - la Repubblica: Roma, 2016, p. 80.

[4] Le Tavole di Gubbio: http://www.tavoleeugubine.it/Home.aspx.

[5] C. Galli, Abbiccì della cronaca politica, il Mulino: Bologna, 2012, p. 83-85.

[6] N. Tommaseo e R. Bellini, Dizionario della Lingua italiana, Torino, 1861 - Tommaseo Online, Zanichelli: http://www.tommaseobellini.it/#/.

[7] G.L. Beccaria, Patria/Nazione, in L'italiano in 100 parole, Rizzoli: Milano, 2014, pp. 221-228.

[8] G. Carofiglio, La manomissione delle parole, Rizzoli: Milano, 2010, p. 44.

[9] Anche senza scomodare Luigi Einaudi che, come è noto, era contrario all'uso delle maiuscole ("Abbasso le maiuscole", 1935) una piccola nota sulla forma paese potrebbe essere utile. Nel corpus LP4 la forma paese è stata normalizzata con l'iniziale in minuscolo per la prevalenza netta di questa grafia negli Atti parlamentari (90%). D'altra parte non si presentano ambiguità con il paese inteso come "piccola città" perché le occorrenze con questo significato nel nostro caso sono praticamente assenti (vedi: La normalizzazione delle iniziali maiuscole in questo blog).

[10] S. Bolasco, Analisi multidimensionale dei dati. Metodi, strategie e criteri di interpretazione, Carocci: Roma, 1999, in particolare a pag. 231: "Una interpretazione linguistica degli assi fattoriali". L'analisi fattoriale delle corrispondenze è stata effettuata con Lexico 5.beta.

[11] Cfr. S. Bolasco, N. Galli de' Paratesi, L. Giuliano, Parole in libertà. Un'analisi statistica e linguistica dei discorsi di Berlusconi, Manifestolibri: Roma, 2006.