venerdì 28 febbraio 2020

Partitocrazia e antipolitica

Gianfranco Pasquino scrive che «la cattiva politica produce, inevitabilmente e persino giustamente, antipolitica» [1]. Il che significa che non è sufficiente rimarcare la presenza degli indicatori di un rifiuto della politica confinandoli nell'ambito delle parole d'ordine tipiche del qualunquismo e del populismo se non teniamo conto anche di quello che è il perimetro legittimo della critica della politica.

Vignetta dall'Uomo Qualunque 3/10/1945
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La scarsa considerazione per le rappresentanze parlamentari e il disprezzo per i partiti hanno una lunga tradizione: dal "discorso del bivacco" di Benito Mussolini del 16 novembre 1922 («Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli...»), alle polemiche contro i "nuovi professionisti" della politica di Guglielmo Giannini e del Fronte dell'Uomo Qualunque, poi riprese da Umberto Bossi e dalla Lega Nord nella prima fase di affermazione del movimento federalista; fino al  parlamento da aprire come una scatoletta di tonno di Beppe Grillo.

D'altra parte sul versante della critica del parlamento e dei partiti era stato Pier Paolo Pasolini, con il suo celebre articolo "Fuori dal Palazzo" (Corriere della Sera, 1 agosto 1975) a contrapporre ciò che avviene dentro il Palazzo, nelle stanze del potere, popolato da figure statiche, anacronistiche, mortifere, con quello che avviene fuori dal Palazzo, tra i giovani travolti dalla velocità superficiale del consumismo, dei falsi valori offerti da una classe dirigente che ha distrutto il passato senza saperne edificare uno nuovo. Nel 1980 sarà Enrico Berlinguer a denunciare l'occupazione dello Stato da parte dei partiti e a porre il primato della "questione morale" come fondamento di una nuova proposta di governo per il paese. E  poi nel 2007, quindici anni dopo il lavacro purificatorio di Mani pulite, ecco il successo del libro inchiesta di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella: La Casta. Così i politici italiani sono diventati intoccabili (Rizzoli, Milano 2007), con la documentata degenerazione della classe politica che si autoalimenta, lottizza, si appropria dei vitalizi, distorce a proprio favore il risultato del referendum sul finanziamento dei partiti.

Nei discorsi dei trenta leader del corpus LP4 la consapevolezza di questa ambiguità dell'antipolitica non sembra trovare uno spazio di rilievo. L'unica parola con una presenza significativa e abbastanza costante nel corso di questi cinquant'anni anni di osservazione è partitocrazia con sole 240 occorrenze imputabili in gran parte a due leader di opposizione: Giorgio Almirante (94) e Marco Pannella (54).

Il termine è attribuito spesso al giurista Giuseppe Maranini che in «Governo parlamentare e partitocrazia», lezione inaugurale dell'anno accademico 1949-1950 dell'Università di Firenze (Editrice universitaria, Firenze 1950),  mise in evidenza un problema che era già emerso ampiamente durante i dibattiti dell'Assemblea Costituente e che riguardava il pericolo che lo strapotere dei partiti potesse introdurre delle storture nel sistema democratico [2].
Però il termine era già stato utilizzato da Roberto Lucifero, una figura complessa di monarchico e liberale, eletto alla Costituente e poi deputato nella II e III legislatura, in un testo del 1944 in cui l'ultimo paragrafo era intitolato "La partitocrazia", in cui si stabiliva un legame tra legge elettorale proporzionale e regime dei partiti, identificato come un sistema che tende a privilegiare l'interesse di parte sul bene comune [3].
Giovanni Spadolini, sempre in tema di partitocrazia, ricorda anche un intervento di Benedetto Croce dell'11 marzo 1947 alla Costituente in cui, esprimendo la sua contrarietà ad alcune parti della Costituzione (tra le quali, su tutte, i Patti Lateranensi e il regionalismo), denuncia la partitomania dei "grossi partiti":
[...] i partiti sono utili strumenti di azione per certi fini contingenti e non sono il fine universale, non sono la legge del bene alla quale solamente si deve ubbidire, perché come Montesquieu dice a di se stesso, egli prima che francese si sentiva europeo e prima che europeo si sentiva uomo [4].
Infine, in questa piccola digressione sulle varianti di partitocrazia, non può mancare il termine partitopatia coniato dall'ormai dimenticato Panfilo Gentile, liberale e conservatore, che dalle colonne dei primi numeri de "Il Mondo" di Mario Pannunzio, tra il 1949 e il 1950, parlava della istintiva tendenza delle oligarchie clientelari dei partiti a creare un regime paratotalitario dietro la facciata democratica [5].

Da una rapida indagine sulla presenza del termine partitocrazia in Google NGram Viewer [6] si può osservare come il 1993 sia l'anno in cui si raggiunge il picco di utilizzo nei libri a stampa (click sull'immagine per ingrandire). Il grafico non potrebbe rappresentare meglio il momento di transizione tra prima e seconda Repubblica.



La distribuzione delle occorrenze di partitocrazia e delle altre forme derivate nel corpus LP4 secondo i leader (tab. 1) mette in evidenza come i protagonisti assoluti della polemica contro il predominio dei partiti siano Giorgio Almirante, che si richiama direttamente alla tradizione conservatrice di Maranini, e Marco Pannella che evoca temi cari al radicalismo di destra e di sinistra: i partiti "usurpatori di democrazia", il "degrado partitocratico della banche" e il "regime partitocratico" che "espropria la legittimità e la legalità repubblicana". La presenza di Umberto Bossi è legata soprattutto alla crisi dei partiti travolti da Tangentopoli.


Il suffissoide -crazia genera diversi neologismi collegati all'antipolitica e alla critica della degenerazione del potere.

Tra quelli tipici di Giorgio Almirante segnalo: apparatocrazia (1), correntocrazia (11), correntocraticamente (1), correntocratico (1), dissentocrazia (2), entocrazia (3), entocratico (1), entocrazie (1), isterodemocratico (1), scandalocratico (1), sindacatocrazia (4); inoltre va ricordato l'originalissimo craxia:
Attenzione, onorevole Craxi, affinché «crazia» e «craxia» non diventino sinonimi, perché questa è la situazione nella quale tutti minacciamo di arrivare! [Giorgio Almirante, Atti parlamentari, Legislatura IX, Seduta 4, del 10 ottobre 1983, pag. 216].

Nei discorsi di Marco Pannella trovo: correntocrazia (15), demoplutocrazie (2), lentocratica (1), lentocrazia (4), sindacatocrazia (1), tangentocratici (1), tangentocrazia (2).

Achille Occhetto, noto soprattutto per altre fantasiose espressioni retoriche che non gli hanno portato fortuna (la famigerata "gioiosa macchina da guerra" delle elezioni del 1994) si distingue qui per l'uso di un termine denigratorio già molto noto nella pubblicistica politica ma che non si può certo ascrivere alla antipolitica:
Si può dire che ci avviamo verso forme di cleptocrazia per cui ha ragione Norberto Bobbio quando dice che la più grande riforma istituzionale che bisognerebbe fare nel nostro paese è applicare il settimo comandamento che dice «non rubare» [Achille Occhetto, Atti parlamentari, Legislatura IX, Seduta 124, del 7 aprile 1984, pag. 11872].
Le altre parole che rientrano senza troppe ambiguità nel perimetro dell'antipolitica si presentano tutte nelle fasce di occorrenza più basse o - più spesso - tra gli hapax (parole con occorrenza 1 nel corpus). Tra queste, in Almirante si contano partitante (2), partitelli (1), partitini (3) - presente anche in Berlusconi (3); partitucci è presente in Bonino (1) e partituccio in Pannella; politichese è presente in Bossi (3) e Bonino (1). Insomma, anche in questi anni di sorti travagliate per la politica, i protagonisti maggiori del dibattito parlamentare sembrano volere mettere da parte i riferimenti diretti all'antipolitica, respingendoli al di fuori dell'Aula parlamentare.